Miriam Brandon ci racconta alcune lezioni che ha imparato durante la specializzazione.
Verso la fine del tirocinio per l’abilitazione (della durata di due o tre anni nel Regno Unito, ndr), ero molto stanca. Avevo appena finito una rotazione in Pronto Soccorso; vivevo lontano dalla mia famiglia e dai miei amici; stavo avendo delle difficoltà a inserirmi in una nuova chiesa e mi sentivo lontana da Dio. La mia carriera come medico non assomigliava per niente a quella che mi ero immaginata guardando serie TV come ER o Grey’s Anatomy. Ad un certo punto mi sono ritrovata a dormire per terra nello stanzino dei medici durante i turni notturni, a fare innumerevoli esami rettali, e armata di cartelle cliniche e infinite liste di pazienti, mi sentivo una specie di segretaria. Sapevo che Dio non mi aveva abbandonata, ma facevo fatica a frenare i miei pensieri, ascoltare la sua voce e provare quella pace che avevo sperimentato in passato.
Ed è stato proprio in quel periodo, in cui le mie preghiere diventavano sempre di meno e sempre più lontane, che ho sentito Dio dirmi “FERMATI”. Era come se fossi su un nastro trasportatore, mi stavo facendo trasportare dall’Università al lavoro e non mi ero fermata per ascoltare e capire dove mi trovavo e dove sarei dovuta andare.
Durante l’ultimo anno di tirocinio per l’abilitazione, mi sono unita a una piccola comunità chiamata St Anselms, a Palazzo Lambeth. Mi sono unita ad altri 40 giovani di età compresa tra i 20 e i 35 anni, a ritmo di preghiera, meditazioni, letture della Bibbia e insegnamenti. Durante quell’anno, non avevo un obiettivo o uno scopo preciso. Non lo facevo per ottenere un diploma, per esercitarmi nell’evangelizzazione o per aumentare le mie conoscenze in teologia. Il mio obiettivo era ascoltare Dio e imparare a pregare, fermarmi e conoscere meglio il mio Creatore. L’anno a Palazzo Lambeth non mi ha certamente resa un’esperta di preghiere. Talvolta mi sento ancora distante e fredda nella mia relazione con Dio; la preghiera può essere difficoltosa a volte, ma ho imparato alcune cose.
Sii te stesso con Dio
Nei Salmi, le preghiere sono autentiche. I salmisti si rivolgono a Dio così come sono: nei momenti di rabbia, depressione, frustrazione, pentimento, gioia, ringraziamento. Fanno sapere a Dio esattamente come si sentono:
“Sfogo il mio pianto davanti a lui, espongo davanti a lui la mia tribolazione.” Salmo 142:2
Noi tendiamo a prendere le distanze da Dio quando abbiamo fatto qualcosa di sbagliato o se siamo arrabbiati con Lui. Noi Lo respingiamo, ma Lui vorrebbe che noi Gli dicessimo cosa non va, che ci affidassimo a Lui sapendo che Lui risolverà la situazione. Dio ci capisce, ed è sempre con noi quando attraversiamo i momenti più difficili. Come facciamo a saperlo? Semplice: lui è venuto sulla terra come uomo, ha sperimentato il rifiuto, il cordoglio, la solitudine, le incomprensioni e la prigionia. Quindi capisce il nostro dolore e vuole prenderne parte insieme a noi. (1)
Ritirati
Nella nostra società non siamo molto bravi a fare silenzio. Tra lavoro, televisione, computer e smartphone, ci rimane poco tempo per fermarci e prestare ascolto a Dio. Non Gli lasciamo il tempo e lo spazio necessari per parlarci. Torniamo a casa dal lavoro o dall’università e siamo stanchi. Accendiamo la TV, parliamo con i nostri famigliari o con i nostri coinquilini; nel viaggio per andare e tornare dal lavoro, leggiamo un libro o giochiamo con i nostri telefoni o leggiamo una rivista, ma raramente ci fermiamo e prestiamo ascolto. Spesso mi chiedo se forse abbiamo paura del silenzio, di Dio e della nostra profondità ormai trascurata.
Nell’anno che ho dedicato ad imparare a pregare, Dio mi parlava in maniera molto chiara soprattutto durante i miei ritiri. Per farlo, sceglievo di allontanarmi per un po’ dalla mia indaffarata e complicata vita, posavo il telefono e il computer, e mi concentravo su Dio con il cuore e con la mente. Mettevo da parte le mie liste di cose da fare e lasciavo che la voce di Dio toccasse la mia vita, il mio lavoro e le mie relazioni. Nonostante i reclami da parte dei miei bisogni personali, volevo che fosse la Sua voce ad avere la precedenza. Le distrazioni funzionano come dei diversivi, che ci proteggono da noi stessi, dal nostro passato e dai nostri errori. Paradossalmente, un ritiro è un avanzamento verso Dio e verso la vera conoscenza di noi stessi. Se siamo soli con Dio, non possiamo scappare da nessuna parte, ma permettiamo al Suo amore di portarci guarigione e restaurazione. I ritiri hanno caratterizzato anche la vita di Gesù. Un deserto, un monte, una barca in Galilea, gli concedevano la solitudine necessaria per dedicarsi alla preghiera e alla contemplazione. Il Vangelo di Matteo ci mostra come Gesù trovava il giusto equilibrio tra lavoro e preghiera: “Dopo aver congedato la folla, salì sul monte in disparte a pregare. E, venuta la sera, rimase là da solo.” (2) Ritirarsi era fondamentale per Gesù, ed è di vitale importanza per noi.
Io mi sono presa l’impegno di dedicare, ogni anno, una settimana ad un ritiro nel silenzio. Ma il ritiro non dovrebbe essere una cosa da fare una volta all’anno, dovrebbe essere parte della nostra vita quotidiana. Io mi trovo bene, ad esempio, a trascorrere 15 minuti ogni giorno nella cappella dell’ospedale o in un altro luogo tranquillo. Così riesco a sedermi e rimanere in silenzio alla presenza di Dio.
Ricevi
Talvolta la preghiera ci può sembrare un dovere: una lista di persone e bisogni che richiedono la nostra attenzione. E anziché goderci una calorosa e meravigliosa amicizia con Dio in preghiera, ci facciamo distrarre dalle cose mondane: il messaggio di un amico al quale non abbiamo ancora risposto, qualcosa che ci siamo dimenticati di fare al lavoro, o il pensiero di cosa preparare per cena. A volte cerchiamo Dio ma troviamo solo un grande vuoto: non proviamo nessuna gioia, non sentiamo la Sua presenza, niente. La preghiera diventa un qualcosa che facciamo per dovere, invece che essere un dialogo con Dio, il nostro più caro amico. Dio vuole entrare nelle nostre vite, darci pace quando siamo in conflitto, gioia quando ci troviamo nell’afflizione e riposo nell’agitazione.
La preghiera è un ottimo modo per sperimentare la comunione. Ci saranno dei momenti in cui faremo fatica a pregare, e sentiremo il bisogno di farci aiutare da altri. Ma perché aspettare che si verifichino queste situazioni? Giacomo ci ricorda che la preghiera e la confessione non sono solo un’attività personale, ma anche di gruppo. (3)
La preghiera non è una casella da barrare per poterci considerare Cristiani: dovrebbe essere parte integrante del nostro essere, tanto nei momenti felici quanto in quelli più bui.
Miriam Brandon è una specializzanda a Londra.
Bibliografia
2 Corinzi 1:3-4
Matteo 14:23
Giacomo 5:13-16
Link originale https://www.cmf.org.uk/resources/publications/content/?context=article&id=26803
Traduzione a cura di Giulia Dallagiacoma